Strumenti in più per i genitori…

“OGNI ESSERE UMANO FA’ IL MEGLIO CHE PUO’, CON LE RISORSE CHE HA A DISPOSIZIONE” .

Essere dei “Genitori Allenatori” di questi tempi è diventata un’esigenza: pensare solo ai “doveri” del buon padre o della buona madre  non basta più. I ns figli hanno esigenze emotive, cognitive, evolutive, oltre a quelle fisiche e pratiche.

Forte della mia esperienza ho pensato di rendere disponibili per i genitori, strumenti che solitamente uso per managers, venditori e professionisti.

Associare alla figura del genitore quella del “Coach”, vuol dire rendersi strumento per i nostri figli, vuol dire provare ad avere un punto di vista più oggettivo, aiutandoci a rendere più facili le cose.

Dal mio punto di vista essere diventata genitore mi ha offerto un “upgrade” del grande videogame chiamato vita: sapendo guardare oltre alla fatica, all’insonnia, al senso di inadeguatezza, all’irritazione che si può arrivare a provare, io ho sentito una grande opportunità di guarigione ed evoluzione individuale.

Non è necessario diventare mamma o papà per migliorare, cambiare o evolvere ma se capita è un’opportunità da valorizzare e usare con tutto il suo potenziale. Senza un evento di tale portata chi mai avrebbe cambiato le sue abitudini, anche se palesemente dannose? 

Per cambiare noi stessi prima e il mondo poi, è necessario anche cambiare il modo di entrare in relazione con i ns figli, gli adulti di domani.
Psych-K è uno strumento utile per lavorare su di noi, sulle ns credenze, sui ns comportamenti e sulle ns reazioni.

Sicuramente continueremo a fare del nostro meglio ma con un atteggiamento diverso!

Città a misura di bambino

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Recentemente sono stata in una città di mare.
La gente posteggia sul marciapiede, quando c’è o quando non è occupato dall’immondizia – anche detta: scovazze, rusco, pattume, monnezza etc.
Non si sa se per diretta conseguenza del parcheggio selvaggio, i bambini sono costretti al passeggino quasi fino all’età scolare.
Questa condizione però limita molto la libera espressione del bambino ritardando l’adeguato sviluppo motorio e cognitivo.
La coordinazione, la misura della propria forza ma anche solo lo scaricare l’energia in eccesso e in dotazione per la giornata, avviene attraverso il gioco e il deambulare. Quando questo viene inibito troppo, ecco che si presentano difficoltà ad addormentarsi, malcontento verso lo stare seduti composti, a tavola, piuttosto che nel passeggino e sovrappeso.
Ho osservato che si tende a sottovalutare questi campanelli d’allarme, preoccupandosi di più di riacquisire la calma nella situazione immediata – si vergogna anche un bravo genitore e spesso l’adulto ha già il suo bagaglio di emozioni da gestire, di cui non sempre ha consapevolezza e gli strumenti per gestirle – e si tende a sedare questa irrequietezza con il ciuccio: è davvero un comportamento costruttivo questo?
Perché per essere buono il bambino dev’essere apatico? 
Perché pretendiamo da lui atteggiamenti da “adulto addomesticato”?
Perché pensiamo che abbia bisogno di ubbidirci per permetterci di continuare a fare le ns cose come chiacchere inutili, mangiare comodi o non sporcarci, piuttosto di ricordarci che la sua scoperta del mondo deve essere accompagnata, non inibita?
Perchè con l’infanzia si risvegliano tutte quelle credenze, tutti quei condizionamenti sociali che ci fanno desiderare di avere un “bravo bambolotto” anzichè un bambino vivace?
Il bambino ha bisogno di esplorare, conoscere, preferibilmente in via esperienziale e sta a noi adulti permetterglielo, in sicurezza.
Laddove questo non sia possibile è necessario cercare e trovare un compromesso tra le ns comodità e l’obiettivo della giornata o del momento.
Il ciuccio è un terribile surrogato per le emozioni che, proprio come la sigaretta, permette una “tregua” rispetto a ciò che stiamo provando e acquieta l’animo.
Nulla da eccepire se usato consapevolmente e in casi estremi, fino a 2 anni; molto da osservare se questo strumento è solo funzionale a noi adulti per farci risparmiare fatica: sia fisica, sia mentale. 
Aiutare a sviluppare l’autonomia del bambino è più faticoso rispetto ad un atteggiamento passivo: ci vuole ascolto, mettersi in discussione, informalità e a volte rompere le convenzioni sociali, perché il bambino non è un pupazzo che dove lo metti sta e non sporca – anzi! – ma un individuo con le proprie esigenze e desideri, commisurati all’età, alle esperienze compiute e all’indole caratteriale.
Ricordiamoci che il motto del bambino è: aiutami a fare da solo.